parte seconda
Vagabondi. commedianti, cantastorie 
di Giorgio Getto Viarengo 
 
 
 
 

 
 
 
 

Gli strumenti musicali

 

La ruota, in legno di pero, è ricavata da un massello e misura cm. 15,5 di diametro. Nella parte perimetrale della cassa è leggibile una traccia di decorazione caratterizzata da un filetto. Il corpo della tastiera è in legno d’acero, il coperchio è ricavato da un massello di pero. Interessante notare che il coperchio è decorato da un motivo a sagrin, ancora in uso nelle ghironde francesi; questo segno è ottenuto utilizzando una matrice che è impressa sul legno e successivamente tinta. 

La tastiera cromatica prevede due materiali: i tasti chiari in avorio, quelli scuri in legno di palissandro; le tangenti interne sono in legno d’acero. La manovella, in metallo forgiato, è collegata alla ruota di pero con un’asse di ferro, completa il congegno un pomolo tornito in pero. Completano lo strumento le catene interne, realizzate utilizzando masselli di cedro del Libano, e il cavigliere in cedro e acero. 

Interessante la rilevazione di alcune riparazioni: nell’area di percussione del piede della troumpette è stato riportato un tassello in noce; nella tastiera grossolani aggiustamenti e l’uso di viti improprie che impediscono un corretto utilizzo dei tasti. L’esame della tastiera e la sua estensione ci permettono importanti considerazioni, verificandone un’ampiezza superiore alle due ottave: 27 tasti e 11 alterazioni cromatiche. La descrizione dei legni utilizzati, la preziosa tastiera in avorio, l’estensione cromatica permettono di valutare lo strumento come frutto di alta liuteria e notevole fattura. 

La lettura delle proporzioni, l’analisi organologica che individua l’attacco del cavigliere in modo netto, permettono di collocare lo strumento nella cultura barocca. La particolarità dell’estensione della tastiera permette un’attribuzione piuttosto precisa: la scuola di Charles I Baton, con laboratorio a Versailles sino al 1732 e successiva bottega affidata a Charles II sino alla fine degli anni cinquanta del XVIII sec. L’attribuzione considera le Memorie sulla ghironda  pubblicate nel 1757; nel saggio si tratta la tecnica metodologica dello strumento e si informa di uno strumento prodotto con una particolare tastiera allungata. 

Questa particolarità sarà proposta da altri liutai, tutti censibili: Jean Nicolas Lambert (con laboratorio in Parigi, Rue Michel le Comte (1730-1765) e Nicolas Colson. La ghironda contralto di Mezzanego è costruita ai nostri giorni dal liutaio francese J. C. Boudet, proponendo una coppia del XVIII. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

I resti della ghironda a cassa di liuto sono scarsi e mal conservati, dai pochi reperti se ne deduce la tipica forma “francese” con ricche finiture, come la tradizionale scuola d’oltralpe continua a proporre. La carena interna che accoglie l’asse della ruota è in pioppo, l’asse di rotazione è in ferro forgiato, la ruota in massello di pero, le catene interne in faggio. 

Particolarmente ricche le doghe della cassa in legno d’acero; l’essenza è lavorata facendone risaltare la marezzatura, un fregio tipico di questa scuola completato da due diversi toni di mordente utilizzati per la tinta. La parte esterna della cassa è impreziosita da un fregio in palissandro; la cordiera in ebano è decorata da un elegante filetto in osso, sempre in ebano lavorato al tornio il bottone d’attacco della cintura. Anche in questo caso è possibile attribuire con una certa precisione la fattura dello strumento e il periodo di costruzione: si tratta di una ghironda di alta liuteria del barocco francese. 

La ghironda è tradizionalmente compresa in iconografie relative a musicisti ambulanti sin dal XIV secolo, in questi casi sono visibili strumenti di fattura e costruzione popolare, gli strumenti conservati al museo Ettore Guatelli, Ozzano Taro, confermano queste particolarità. Nel caso di Mezzanego troviamo oggetti importati durante le campagne di questua francesi, strumenti che permettono di considerare seriamente che non fossero usati in modo canonico, dei quali non si è tramandato nessun repertorio, da considerarsi d’imbonimento a giustificazione di una pretesa offerta. 

I suonatori d’organetto di barberia ci suggeriscono quest’ipotesi: spesso tali strumenti erano dati in conduzione, in affitto, a garzoni o collaboratori e anche in questo caso non è necessario essere provetti musicisti. I musicisti intesi come esecutori capaci d’intrattenere un pubblico, con un repertorio credibile, sono rari, tra questi i fratelli Lazzaro e Domenico Bona da Mezzanego. 

Da se solo è in grado di suonare sei strumenti, i loro itinerari comprendevano il Regno delle Due Sicilie, le Toscana e la Romagna, il Parmense e il Modenese, nel 1857 partono da Mezzanego alla volta della Svizzera e Amsterdam. L’Europa è sempre più piccola per i nostri ambulanti, si parte per Londra e le Americhe. 

Nel luglio del 1861 il segretario della Società Italiana di Beneficenza paga il viaggio per rimpatriare Domenico Bellagamba: perché ho creduto fosse un giovane che qui faceva vergogna alla nostra patria pel vil mestiere d’organaro di strada (13). 

(13) 7 luglio 1861. Società Italiana Beneficenza, Roma Archivio Storico. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Anna Bacigalupo, di Ne, è affidata al “padrone” Giovanni Tiscornia all’età di tredici anni, allo scopo di farla suonare per le strade di Londra dietro compenso di otto lire al mese per il primo anno e di dieci lire al mese per il secondo (14). 

Anna si ammala ed è ricoverata al Royal Free Hospital, la prognosi è polmonite: il 1 giugno del 1867, all’età di sedici anni Anna Bacigalupo cessa di vivere. 

Nei rapporti della Società Italiana di Beneficenza troviamo altri dati relativi all’attività dei bambini coinvolti dai loro “padroni” attivi nella lucrosa attività di suonatori d’organetto, è il caso di Giovanni Battista Massa sorpreso nella tratta di una caravana di ragazzetti e ragazze italiane d’età compresa tra gli otto e quindici anni (15). 

Erano partiti dal chiavarese per essere stipati al numero 2 di Eyre Place nel quartiere londinese di Holborn. Nel 1879 la Missione Anglicana Italiana stima che circa 2000 si guadagnino da vivere suonando l’organetto, tra il 1820 e 1890 la colonia italiana di musicisti ambulanti si insedia tra Holborn, Great Saffron Hill, Little Saffron Hill, Hatton Garden, Leather Lane, Eyre Street Hill e Clerkenwell Road. I suonatori italiani avevano rilevato le aree da tempo insediate dalle classi più povere degli irlandesi, la toponomastica fu così modificata, specie dalla stampa londinese, indicando queste aree come quartiere italiano piuttosto che come i bassifondi irlandesi (16). 

Troviamo ancora tristi cronache di giovani chiavarini nel saggio di Zucchi, sempre nel capitolo relativo ai giovani suonatori d’organo in Londra, ci propone la storia di Domenico Montana e Domenico Casagrande. I due giovani, rispettivamente di sedici e vent’anni, erano partiti da San Colombano Certenoli sotto la guida di un “padrone”, Andrea Monteverde. Un contratto di conduzione li legava a patti certi e scadenze precise; il “padrone” all’avvicinarsi della scadenza inizia a maltrattarli e picchiarli: voleva provocarne la fuga e il diritto di non pagarli. I due giovani si recano alla Società di Beneficenza e denunciando il caso. 

(14) John E. Zucchi. I piccoli schiavi dell’Arpa. Marietti, Genova 1999. Pag. 145. 
(15) Ibidem. Pag. 147. 
(16) Ibidem. Pag.149. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Dall’altra parte dell’Oceano le Americhe, un viaggio lungo verso le stesse condizioni: come bestie! In dieci, oltre alle scimmie, vivevano in una sola stanza di tre metri quadrati; così li descrive A.E. Cerqua, un esule italiano che dedicherà il suo lavoro alla New York’s Cildren’s Aid Society. Erano gli stessi emigranti con il solito organetto a battere le strade di New York, o di Boston come Andrea Gagliardo di Camposasco, in Fontanabuona. 
  
Gagliardo era nato nel 1834 a Pian de’Dria ed emigra in America, sarà suonatore d’organo e tenterà diverse altre attività, lascia un diario dove racconta le sue cronache americane: dal viaggio in brigantino a vela, sulla rotta da Genova a New York in cinquantasette giorni, le strade americane con l’organetto, il bracciante, il servitore; poi la California alla ricerca dell’oro. Nel 1856 parte da San Colombano Certenoli la famiglia Torre: meta Philadelfia; il loro primo lavoro sarà quello di musicanti. Sempre dalla Fontanabuona partono Domenico e Giuseppe  Carpeneto di otto anni e dodici anni, lasciano Tribogna per Buenos Aires, la loro professione: musicisti ambulanti. 

Torniamo ancora una volta a Mezzanego per tracciare la biografia di Giacomo Corradino, nato nel 1833, parte alla volta dell’America come musicista ambulante, più tardi farà partire i suoi figli Domenico e Rosa. 

Ancora una storia di musicisti ambulanti nel comune che avrà il più alto tasso d’involuzione demografica di tutta la Fontanabuona, il piccolo comune di Favale di Malvaro sarà spopolato dall’emigrazione, un fenomeno che trovava radici in una parte della popolazione che praticava da tempo diverse attività stagionali in Lombardia e Piemonte. Nella piccola comunità e più precisamente nella frazione di Castello, viveva la famiglia Cereghino, gli Sciallin, erano cantastorie girovaghi, musicisti e autori delle loro canzoni, una storia originale tra vagabondaggio ed emigrazione, nel panorama politico e sociale nel mandamento di Cicagna. 

 

 
 
 
 
 
 

CEREGHINO: CANTASTORIE GIROVAGHI.

 

La famiglia Cereghino era originaria della frazione Castello, nel Comune di Favale di Malvaro; un territorio molto scosceso, quasi un’insenatura laterale nella vallata della Fontanabuona. 

La valle in cui sta Favale è circondata in ogni sua parte da elevati balzi, fuorché in quella di scirocco: ivi corre la via di comunicazione con Chiavari, da cui Favale è discosto tre ore e mezzo (17). 

La difficile terra di Liguria qui diventava impossibile, la fragile economia locale aveva da tempo segnato la vita di questa comunità, abituata a lasciare il paese per trovare lavoro e portare risorse alle proprie famiglie. 

Queste popolazioni lasciavano i borghi, risalivano i balzi del Ramaceto raggiungendo le dorsali appenniniche scendendo il pianura Padana, qui si impiegavano in attività legate al lavoro stagionale agrario. 

Le tante interviste raccolte sono ancora in grado di ricordare il viaggio verso Torriglia, l’incontro con i caporali e il lavoro nelle risaie tra il pavese, il territorio di Vercelli e Novara. 

Sempre la memoria orale dei più anziani informa della salita verso il Ramaceto e gli spostamenti col bestiame, pecore e capre, alla ricerca di pascoli, con ampi spostamenti montani. 
 
(17) G. Casalis. Dizionario Geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna. Torino 1833. Pag. 555. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

La cultura del lasciare il paese per ricercare occupazioni spesso improvvisate e legate al mondo dei vagabondi girovaghi trova qui un’originale conferma. La famiglia dei Cereghino si era specializzata nel praticare il mestiere dei musicisti ambulanti, così ampiamente documentato in tutto il nostro territorio, con una particolarità unica: i cantastorie.  

Abbiamo visto come era articolato il mondo dei vagabondi e quello dei musicanti, abbiamo cercato di ricostruire i percorsi e le motivazioni di tali scelte, si è verificato che spesso il “suonare” significasse imbonimento, per questuare, più che esibizione musicale. Nel caso dei Cereghino troviamo un’ampia documentazione che ci permette d’affermare il loro ruolo di musicisti, di scrittori dei loro testi, editori delle loro canzoni, attenti a difenderne e proteggerne la proprietà letteraria. L’ampio materiale raccolto, le ricerche (18)  sul territorio ci permettono una precisa ricostruzione della presenza e dei destini di questa famiglia. 

Sin dai primi decenni dell’800 i Cereghino lasciavano Favale per raggiungere le piazze dell’Italia Settentrionale, nelle carte ritrovate si conserva una “piantina” che documenta il “giro” delle esibizioni individuando delle aree operative. Verso il levante ligure: Chiavari, La Spezia, Sarzana, Carrara, Massa, Lucca, Borgo a Mozzano, Barga, Castelnuovo di Garfagnana. Negli appunti di preparatori sono riportate delle note: mercato, viaggio, fiera; sono indicazione dei luoghi, fiere e mercati, dove operare e delle distanze dei trasferimenti tra le diverse località: Carrara Borgo a Mozzano 20 miglia (19) 

Verso il parmense e il piacentino si transitava dal Passo del Bocco, si scendeva a Borgo Taro per iniziare il “giro”, poi Bardi, Lugagnano, Piacenza, Ponte dell’Olio e Bettolla; queste località descrivono areali omogenei, indicano percorsi precisi e consolidati. 
Pianello, Borgonovo, Castel San Giovanni, Broni e Stradella, Casteggio, Voghera, Godiasco. Sempre dagli appunti a margine del percorso troviamo altre indicazioni: le località raggiunte per l’esibizione erano spesso frequentate per un giorno, solamente Borgo Taro è praticata per tre giorni consecutivi (22/23/24 settembre, Fiera di San Matteo).  

(18) Collettivo Culturale “Il Gruppo”, Chiavari. Il Collettivo conduce un’ampia ricerca e pubblica un saggio sui Cereghino nel 1980. Alla Ricerca dei Careghino cantastorie in Favale. Bozzi editore. 
(19) Alla Ricerca dei Cereghino...pag. 41. 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

A Tortona si individua un ampio cerchio di cittadine raggiunte: Alessandria, Mirabello, Occimiano, San Salvatore Monferrato, Montemagno, Asti, Costigliole, Nizza, Canelli, Acqui e Ovada. Sono sempre le piazze, i mercati e le fiere i luoghi prediletti dai Cereghino per le loro esibizioni: il treppo dava inizio allo spettacolo, il cantastorie richiamava l’attenzione dei passanti e cercava di formare un pubblico per cantare le sue canzoni. Appena terminata l’esibizione si passava alla vendita delle canzonette, queste erano stampate su fogli colorati, con un’illustrazione, talvolta i numeri del lotto.  

Sempre riferendoci agli scritti dei Cereghino sappiamo quante canzoni potevano essere vendute in una giornata: Il vice sindaco mi permise di cantare e di vendere le mie morali e religiose canzoni; (e ne vendetti 200 e più ) (20). 

I fogli volanti dei Cereghino e di gran parte dei cantastorie dell’areale settentrionale erano stampati da tipografie specializzate, queste producevano i fogli per i singoli cantastorie o proponevano materiali da diffondere. A Fiorenzuola d’Arda era la tipografia Pennaroli, ad Aqui Terme la Dina, a Milano la Tipografia Ranzini, a Codogno la Cairo, a Genova la Papini. 

I Cereghino producevano tradizionalmente i loro fogli volanti presso la Tipografia Dina di Acqui Terme, ma spesso si avvalevano di materiale non da loro edito come i fogli proposti dalla Tipografia Ranzini di Milano: il catalogo della musica tascabile e cartoline illustrate con musica si spedisce gratis a che ne fa richiesta; così specificava l’editore milanese. 

Dall’esame della produzione conservata si può ipotizzare come le canzonette fossero costruite e composte, i manoscritti ritrovati offrono un ampia documentazione delle poesie scritte da diversi membri della famiglia Cereghino. I fogli manoscritti sono 38 con la possibilità d’individuare 54 canzoni, dalle date riportate è individuabile un periodo di composizione compreso tra il 1848 e il 1896, il foglio volante più antico porta la data del 1878. I manoscritti erano trasmessi alle tipografie che componevano il foglio dotandolo di un’opportuna iconografia, a questo punto era pronto per l’esibizione e la vendita.   

(20) Archivio Tavola Valdese. Sunto Storico. Manoscritto a firma Cereghino Stefano in data 27 luglio 1898. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Altra particolarità dei Cereghino era una produzione di canzoni scritte e cantate in dialetto genovese, si tratta di composizioni che affrontano temi autobiografici, cronache locali; possiamo supporre che queste fossero eseguite durante la frequentazione delle piazze liguri, raggiunte durante i rientri dal Piemonte e Lombardia. 

Il genovese dei Cereghino è scritto in modo lineare, riproponendo la scrittura esatta della lingua parlata, l’uso dei vocaboli e le espressioni utilizzate sono legate al lessico ancora in uso nel territorio. 

Le canzoni in lingua italiana affrontano i tipici argomenti del repertorio dei cantastorie: la vita militare, l’amore, i fatti di cronaca e di costume, le tragedie, la politica. 

I fogli volanti raccolti sono 42 così suddivisi: 12 autografi o portanti la proprietà letteraria dei Cereghino, 6 sono edizioni con testi e modi espressivi riconducibili ad una probabile attribuzione ai cantastorie di Favale. 

La raccolta si completa con 24 pubblicazioni di cantastorie più famosi, potremmo dire di successo, o canzoni assai diffuse e conosciute (Sante Caserio, La Spagnola, Quando nasceste). 

Quest’ultimo aspetto restituisce un modello di tradizione orale interessante: nelle interviste realizzate si ritrovano frammenti di canzoni diffuse e conosciute in un vasto areale, i pezzi si diffondevano senza la presenza dei mezzi d’informazione (specie la radio) e permettono di riscontrare un piacere per il canto. 

Le esecuzioni avvenivano nelle famiglie e nell’ambito abitativo, i più anziani affermavano d’avere acquistato i fogli volanti per cantarli e d’averli conservati per lunghi periodi, non a caso le canzoni e le arie ricordate sono davvero tante. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Questo quadro riferisce di come fossero usate le canzoni dei cantastorie e come si diffondessero, in un periodo precedente alla diffusione dei mezzi radiofonici, i quali imporranno il loro repertorio, uguale in tutte le zone d’ascolto e guastando il piacere del canto per imporre l’ascolto passivo. 

Le composizioni dei Cereghino non hanno restituito spartiti o appunti propriamente musicali, nelle tipicità dei cantastorie e nei modelli espressivi utilizzati si possono riscontrare delle “arie” utilizzate per predisporre la canzone. Queste melodie sono spesso uguali o con minime variazioni, permettono di eseguire così molte canzoni utilizzando minime partiture. Spesso le canzoni iniziano con un richiamo, un momento d’attenzione come richiedeva il canone del treppo, l’imbonimento dei cantastorie:  

                    Gente cae vegni in po’ chi 
                    a fermeve a sta asentì 
                    questa vegia cansunetta 
                    che a veite a le proprio scetta ... (21) 

Le canzoni potevano avere decine di strofe che non erano tutte cantate, ma permettevano ai cantastorie di valutare la situazione e variare a piacere l’esecuzione, iniziandole da diversi punti o cantandone solamente alcune lezioni. Il modo espressivo tipico dei Cereghino era caratterizzato dall’uso di una schietta ironia, da una forte ed intelligente satira, spesso si ponevano l’oro stessi nel tema della canzone:  
                    De marsu ragne i gatti
                    a Castello ghe sinque matti 
                    capurollu l’è u Sprangou 
                    e i secundi i Battistolli 
                    tersu i Buschi e i Teixinin 
                    che i en matti da ligà 
                    che i se taggiu i erbui 
                    cuntru a ca’. 

(21) Tipica forma d’inizio delle composizioni dei Cereghino. Dopo questa strofa iniziava il tema della canzone. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Questo frammento di filastrocca propone in modo chiaro il modello espressivo dei Cereghino, si tratta di un’aria dedicata ad un quadro locale: Castello è la frazione di Favale dove vivevano i cantastorie, il capo dei matti è Sprangou (soprannome di Andrea Cereghino, era claudicante), i Batistolle, i Buschi, i Teixinin erano i soprannomi di famiglie residenti nel borgo, questi erano matti perché si tagliavano gli alberi contro le loro case!  

Ecco un esempio di figura ironica spesso proposta per richiamare e portare in un ambito pubblico i vizzi privati, le figure ridicole del paese, i tanti piccoli misfatti e falsità che caratterizzano le comunità. 

Non è un caso che il materiale raccolto contenesse molti riferimenti a queste figure, la tradizione le ha preservate, il ricordo le custodisce, la comunità forse si riconosce ancora in queste forme ironiche.  

Il fatto che questi materiali della memoria si siano conservati, diffusi e spesso condivisi, conferma che i Cereghino possano essere assunti come autentici poeti popolari, cantori di un mondo che li vedeva come veri protagonisti, capaci di una sintesi della società di quei tempi.