parte prima
Vagabondi. commedianti, cantastorie 
di Giorgio Getto Viarengo 
 
 
 
 
 

 
 
 
 

Vanno per lo mondo a domandare ellemosina

 

Le popolazioni del nostro territorio, in particolare dell’interland interno, avevano imparato a coniugare il lavoro locale con possibili stagionalità fuori zona.  

Con l’articolazione dei confini politici in epoca pre-unitaria bastava superare lo spartiacque appenninico per essere “all’estero”; questa possibilità integrava il redito e permetteva di portare a casa quel poco per riuscire a vivere. 

Le attività svolte potevano essere legali e legate alle attività agricole (risaie, gelso, carbonai, lavori dei boschi e segherie), di piccolo commercio (merciai, venditori d’inchiostro, figurinai), di servizio (spazzacamino, arrotini, cucitori di ceramiche rotte, calderai).  

Completava questo quadro la disponibilità ad operare come manovali o operai (muratori, netturbini, uomini di fatica). Molto praticata una serie d’attività che facevano della specializzazione della questua una buona fonte di guadagno. 

Il questuare era una funzione ampiamente praticata dai mendicanti e dai birbanti, in particolare la capacità dell’andare in birba aveva portato ampie zone del nostro territorio a specializzarsi in questo diritto non scritto: chi non riesce a sostenersi da solo può mendicare.  

Tra il mendicante accattone e il birbante esiste una profonda differenza: il primo può ostentare difetti fisici o malattie, il secondo chiede soldi esibendo una ragione per l’uso del danaro raccolto. 

L’andare in birba, come più di una volta a sostenuto Marco Porcella, può essere tradotto come l’azione di raccogliere danari sotto mentite spoglie. I birbanti di Sopralacroce, territorio di Borzonasca, arrivavano a esibire false patenti, fogli d’autorizzazione alla questua, elenchi di schiavi da riscattare: ogni ragione era buona per raccogliere danaro. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Altra specializzazione del nostro territorio era la pratica dell’andare in “commedia”, spesso nella memoria orale confusa con la birba, chiedere soldi suonando strumenti musicali, presentando numeri d’abilità, di forza, facendo esibire animali. La commedia era un campo vasto ed articolato dove i praticanti si ingegnavano per trovare nuovi numeri, per interessare i passanti o i clienti di un mercato o di una fiera, i cittadini di una grande città europea. 

Dalle memorie raccolte si trovano ricordi utili alla ricostruzione di questi artisti di strada, a Mezzanego ricordano la ricerca di tartarughe (1) , prelevate dalle acque dello Sturla, per essere portate nei mercati e nelle piazze ed esibite come animali rari, quasi dei mostri. L’utilizzo di mostruosità da esibire era assai diffuso, si cercavano persone con gravi difetti fisici da utilizzare come strumento di uno spettacolo che faceva leva sulla curiosità morbosa, l’ostentazione di piaghe e ferite trova sempre qualcuno pronto a pagare. Nelle fiere di Sant’Antonio degli anni sessanta era ancora possibile vedere, nei padiglioni appositamente montati, la donna “cannone” (figura smisuratamente grassa), la donna ragno (un corpo con gravi difetti fisici e appositamente truccato con posticci), potevano essere visionati animali con gravi handicap fisici, tra tutti i parti gemellari “siamesi”. 

La mostruosità era una specialità che trovava pubblico disponibile, gente pronta a pagare per “vedere”, l’ostensione di tutto ciò che muove la curiosità o la compassione altrui, e chi non aveva mutilazioni o malformazioni da esibire poteva provare a fingerle (2) . 

(1) Ogni uomo che viene a Londra è accompagnato da tre o quattro ragazzi al disotto dell’età di 13 anni; questi sortono la mattina di buon ora e sotto pretesto di mostrare tartarughe, scimmie ed altri animali, chiedono carità. Tratto dall’articolo di Massimo Angelini, “Suonatori ambulanti all’estero nel XIX secolo”, in Studi Emigrazione, XXIX (1992), 106, pag 309-318. La nota riportata è a pag. 311: A.S.T, Consolati nazionali, Londra, Consolato Generale di S. M. Sarda in Londra a Sua Eccellenza il Marchese di S. Marzano e Primo Segretario di Stato per gli Affari Esteri, Torino, 25 Agosto 1820, lettera n° 12.  

(2) Massimo Angelini. Impostori e Compracicos. In “Le Voglie”. A cura di Massimo Angelini e Manuela Trinca. Meltemi Editore, Roma 2000. Pag. 52. 
 
 
 
 
 
 

Nel Libro dei Vagabondi (3) , opera dove sono raccolti saggi letterari sulla figura del vagabondo, troviamo la descrizione delli accapponi, figure che simulavano con polvere di penne abbrugiate, sangue di lepre e altre cose, fingono di avere grandissime e orrende piaghe nelle gambe: ovvero con cantilene e parole superstiziose, o con la vitalba, erba aron e altri sughi d’erbe velenose, in modo tale ulcerano le gambe, che apparisce abbiano il male detto fuoco di Sant’Antonio. 

Questa è una delle forme più antiche della pratica del questuare cercando una “specializzazione”; i corpi feriti, piagati, deformi trovano vasta diffusione tra il cinquecento ed il seicento. Un’inchiesta istruita nel 1597 ci permette di documentarne la presenza sul nostro territorio. 

Il Senato della Repubblica di Genova darà corso ad un’istruttoria specifica per verificare una denuncia anonima circa le vendita di bambini, ai quali “rompono brati e mani e gambe e piedi et altri spettacoli di tegna per farli par degni di elemosina(4) . 

La documentazione descrive fatti avvenuti in alta Val di Vara dove si organizzavano campagne d’accattonaggio stagionale, dalla lettura dei documenti se ne deduce che i bambini erano ceduti in affitto ed esibiti dopo un trattamento a base d’erbe urticanti che producevano vesciche sul viso. 

Pigliono doe pietre e spremono detta herba in messo di esse et del sugo di essa se ne fregano le bracie e le gambe, e in poco tempo li vien cete piaghe, le quali parono che sian state mangiate da li cani e fanno croste, ma perchè non voleno guarire vanno di continuo levando le croste. 

(3) Piero Camporesi. Il Libro dei Vagabondi. Einaudi Editore, 1980. Pag. 122 
(4) Massimo Angelini. Opera citata pag.59, descrizione nota 8. Sono grato a Massimo Angelini per le preziose informazioni e per avermi messo a disposizione la documentazione segnata in nota di seguito: Archivio di Stato di Genova. Sala Senarega, 568.  
 
 
 
 
 
 

Da qui si partiva per menarli a Genova e Lombardia a far questua; da un esame delle carte risulta che i luoghi raggiunti per raccogliere l’elemosina erano compresi in un areale descritto dall’ambito regionale generico (siamo andati in Lombardia non avendo niente al paese) o più preciso per quanto riguarda l’indicazione Genova: in un loco duove si dice Chiappella sotto la Lanterna. Sempre in ambito genovese troviamo altre indicazioni per rendere documentati i luoghi della pratica questuante: alla Madonna di Coronata et altre chiese; nelle parte di Polsevera, alla Madonna della Goardia; a Sampierdarena. Il percorso tra Lombardia e Genova era percorso a piedi e raccogliendo l’elemosina, passando per via delli Giovi e Voghera. 

La relazione ci fornisce altre mete e particolari sulle campagne di questua: In detta citta de Piacenza et altri luoghi per lo mondo a domandar ellemosina vi suole andare Armanino de Grasto con Maria sua moglie quale ha una sua figlia quale porta in bracio perche tetta ancora et non ha altri figlioli suoi proprij ma conduce con lui doi figlioli della mia età li quali domandano () e dicono che li hanno presi in Lombardia e () va dicendo che sono suoi figli. 

Qui possiamo verificare un primo dato: all’interno di un quadro d’economia rurale caratterizzato da piccole comunità, si cercava uno sbocco verso le realtà urbane che diventavano fattore d’attrazione importante (5) . Le città richiamate acquistavano un ruolo fondamentale derivante da una tradizione secolare, tolleravano l’arrivo dei vagabondi nonostante problemi di ordine e salute pubblica, prezzo da pagare per avere anche flussi di manodopera qualificati.  

I vagabondi questuanti della Val di Vara si spingevano anche verso il ricco nord-est, una testimonianza ci permette d’esaminare questa tratta con tempi e luoghi da raggiungere: E circa uno anno che io mi sono partito dalla villa de Comuneglia, con detta mia moglie, e figlia, e siamo andati in Lombardia non havendo niente al paese, e sono stato doi mesi in circa a Venetia, otre poi Padova, sono passato per Mantova, e sono venuto a Palma e poi Piacenza, dove mi sono efrmato sino adesso et habito in Piacenza in una cassina delli poveri di san Lazaro. Nella testimonianza emerge una particolarità, nonostante la funzione principale sia la questua: la professione... la mia è di vendere corone , peteni et altro, e mia moglie con la figlia che e de etta de anni sette domandano ellemosina. 

(5) AA.VV. Storia dell’emigrazione italiana. Partenze. Donzelli editore, Roma 2001. Pag. 10. 
 
 
 
 
 
 
 
 

Questa famiglia incontra altri conterranei durante il viaggio che avviene, almeno in parte, nel mese di maggio: ho visto in dette terre alcuni della villa di Comuneglia, e fra essi vi ho ritrovato a Mantoa...Gioanetino de Paolo (), il quale ho visto in Piacenza et in la fera de Santo Secondo...e vi ho visto anco Comuneglio de Paulo,() et ho anco visto Almanino de Paolo ...in Piacenza con sua moglie et una picola quale ha condotto in Guastalla et a Lugagnano(?) et in altri lochi à domandare ellemosina, e poi lho condotto a casa a Comoneglia, e poi il detto Armanino e ritornato a San Secondo in Lombardia () 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

La figura dei minori, dei bambini, era fondamentale per una migliore riuscita nella richiesta d’elemosina, la mancanza di diritti e di controllo sulla circolazione dei bambini garantiva una certa immunità. La Repubblica di Genova si preoccupa delle informazioni avute dalla missiva ricevuta: ci sono parsi molto nuovi li desordini che dalla inclusa ()lettera mandateci senza sottoscrittione...tocco con mano li sindicatori moderni delle vendite de putti cosi machi come femmine...e non solo comprano ma ne rubbano duove possono. 

La documentazione qui riportata fornisce uno scorcio importante di come la continua congiuntura negativa, dell’economia rurale della nostra terra, costringesse le popolazioni a trovare soluzioni alla miseria, alla fame. Nel tempo le problematiche cambieranno, saranno le nuove condizioni politiche ad amplificare le nuove partenze. Il territorio del Tigullio, con l’annessione della Repubblica Ligure alla Francia, sarà compreso nel Dipartimento degli Appennini, le nuove norme legislative che regolavano la chiamata alle armi attiveranno nuovi flussi, diventando un fenomeno di massa. 

I “chiavarini” ostentano la più estrema indigenza, spesso simulano vistose infermità e circondandosi di bambini addestrati a impietosire i passanti (6) . Nella Londra dei primi anni dell’ottocento non saranno accettati gli accattoni ed i vagabondi, per loro la reclusione ed il rimpatrio. Le leggi inglesi prevedevano l’esclusione dal rigore dei provvedimenti per i suonatori ambulanti, questa particolarità vedrà i musicanti e ammaestratori d’animali in grande numero nelle strade londinesi aggirando così le norme legislative. 

Nel 1817 l’ambasciata del Regno di Sardegna in Londra compone una prima lista di soggetti ai quali è rilasciato il passaporto, la metà degli individui elencati provengono dal levante ligure (7) 

(6) M. Angelini. Mestieri girovaghi e moralismo storiografico. Ne “Il Risorgimento”, 1966, 3, pag. 425.  
(7) M. Angelini. Suonatori ambulanti all’estero nel XIX secolo considerazioni sulla Val Graveglia. In Studi Emigrazione, XXIX (1992), 106, pag. 310. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Nel 1819 è a Londra Andrea Reboli, uno dei tanti suonatori d’organetto: un vagabondo di quelli che van suonando l’organetto; così scriverà l’arciprete Giovani Antonio Maria Gianelli (8) della chiesa di San Giovanni in Chiavari. 

Reboli è nativo di Graveggia ed è rientrato a Chiavari, il documento data 4 gennaio 1827, dopo sette anni di matrimonio in Londra con una donna protestante, questa è la ragione della preoccupata lettera del sacerdote. 

Andrea Reboli e uno dei tantissimi partiti dal nostro territorio, i dati statistici prodotti dalle prime associazioni assistenziali per gli emigranti, prima fra tutte la Società Italiana di Beneficenza, censiscono circa 600 suonatori ambulanti, un terzo degli italiani a Londra nel 1861. In gran numero sono originari del territorio chiavarese, del suo immediato entroterra, delle valli appenniniche parmensi. 
La documentazione in nostro possesso ci permette di ricostruire i tempi dei trasferimenti, in questo caso il viaggio Chiavari – Londra era percorso a piedi in un mese, la stima è fatta deducendone il dato dai contratti tra “garzoni” e “suonatori ambulanti”, dove nelle clausole il periodo del viaggio non era remunerato (9) 

Lo studio di Massimo Angelini e i due contratti riportati in appendice confermano il dato: Il servizio è stabilito a mesi trenta dal giorno della partenza da Chiavari – a pagamento però soli ventinove perché uno considerato di viaggio (Contratto Cassinelli/Boicelli); ...escluso il salario di un mese, per impiegarsi per il viaggio (Contratto Cassinelli/Brusco). 

Il viaggio poteva prevedere soste e stazioni lungo il percorso ed in corrispondenza di città importanti dove era possibile iniziare il lavoro.  Questi tratti rendono chiara la cultura degli spostamenti dal nostro territorio nella visione dei “vagabondi”: ambulanti, musicisti, a piedi verso territori continentali, in cerca di un reddito per sopravvivere. In quest’ottica diventa interessante rileggere la deposizione di Giuseppe Gandolfo, suonatore girovago, rilasciata alla Polizia di Cronstatt (10) (impero Asburgico), una microstoria nel territorio di Mezzanego con riferimenti articolati tra geografia e storia sociale. 

(8) Archivio Sant’Antonio Maria Gianelli. Casa Generale, Roma. Volume II, pag. 74. 
(9) M. Angelini. Suonatori ambulanti e garzoni a Manchester nel 1857: due contratti d’ingaggio. In XX Secolo, 1991, I, 2-3, pag. 477-485. 
(10) Maria Giuseppina Cioli. Il passaporto falso. Vagabondi, clandestini e renitenti in alcuni documenti della Prefettura di Genova. In “La via delle Americhe”. Catalogo mostra, Ed. Sagep, Genova 1989. Pag. 43- 48. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 

Mi chiamo Gandolfo Giuseppe – sono nativo di Mezzanego nel Circondario di Chiavari, ...dell’età di anni 32, di religione cattolica, celibe di professione musicante. Note biografiche nette e precise, specie se si pensa che erano rilasciate ad un posto di polizia in territorio dell’impero asburgico: il mio paese nativo, Mezzanego, dista un’ora circa dai confini parmensi; a piedi risalendo lungo il versante del Passo del Bocco si trovava la frontiera col Ducato di Parma, ad un’ora di cammino dal borgo di Mezzanego si era già all’estero. 

Il mio paese natale è circa ¾ d’ora distante da Borzonasca e 1 ora e ¼ distante da Chiavari, che si trova nel Golfo di Genova a 5 miglia di distanza; la sequenza delle distanze, l’unità di misura espressa, gli spazzi percorribili a piedi rendono ulteriormente chiaro il rapporto col territorio. La deposizione prosegue con note biografiche della famiglia e del proprio ruolo nella comunità locale: mio padre era contadino di Mezzanego e si chiamava Giovanni Batt. Gandolfo; egli morì in Mezzanego mentr’io era ancora fanciullo; mia madre cessò di vivere molto per tempo – io non la conobbi. Ho un fratello Andrea Gandolfo che è da 10 anni assente da casa. Egli dev’essere in America e forse in California, come appresi da qualche mio compaesano; precisamente non lo so, perché non sono in corrispondenza né con lui, né con altri del mio paese e poiché in quello non vi possiedo parenti. 

La famiglia in Mezzanego non ha più componenti e, il dato sulla conduzione della terra, ci permette di comprendere altre caratteristiche: Quando io lasciava il mio paese nativo, or sono 10 anni ero colono di Andrea Rocca possidente che abitava sempre in Genova e che teneva un suo Agente a Mezzanego. Questo specifica la non esistenza di un rapporto di proprietà, ma la conduzione di un fondo a colono. Giuseppe Gandolfo aveva lasciato Mezzanego da 10 anni (9 giugno 1855) con un passaporto rilasciatomi in Chiavari. 

La carta era stata concessa e rinnovata dall’autorità del Regno di Sardegna e da altre istituzioni: chiesi sempre la rinnovazione del mio passaporto in Vienna, dapprima al Console Sardo poscia due volte a quello di Francia, due volte a quello di Russia e nell’anno 1862 o 1864 a quello di Svezia e Norvegia a Vienna. Il Gandolfo musicante ambulante era cittadino europeo, si muoveva col suo strumento negli ampi spazzi di un territorio che per lui non aveva frontiere, cercava “piazze” dove esercitare il suo mestiere. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Il 19 febbraio 1863 era a Semlin, la durata del mio passaporto era scaduta, mi recai a Belgrado, e ricevetti colà, in assenza del Console italiano, dal Console Francese in Belgrado, una promulgazione di tre mesi del mio passaporto. La città di Semlin è oggi sulle carte col toponimo trasmessogli dalla confederazione Jugoslava: Zemun; città nel sobborgo industriale di Belgrado, alla periferia nord occidentale, sulla riva destra del Danubio. 

Il rinnovo del passaporto era determinante, un documento di viaggio che assicurava una certa tranquillità, specie per questa categoria, non sempre tollerata. Il racconto di Giuseppe Gandolfo continua con date precise e particolari geografici importanti: il 20 maggio 1863, mi recai ancora da Semlin a Belgrado, e ricevetti allora, dal Console italiano che da Costantinopoli ritornava a Belgrado, un nuovo passaporto della durata di un anno. 

La deposizione avviene presso il posto di polizia essendo il Gandolfo privo, in quel momento, del passaporto: Ho consegnato questo passaporto due giorni prima del termine della sua durata, per la rinnovazione alla polizia di Maroz-Vusarhely. Gandolfo è preoccupato poiché l’autorità comunale di Mezzanego non invia riscontri che possano chiarire la sua vicenda: non so intendere che in Mezzanego non vogliano conoscermi; ciò è forse probabile perché manco da tanto tempo dalla mia patria, non posseggo colà alcuna terra, e non vi ho più alcun parente. 

Cerca di trovare argomenti che possano liberarlo dai controlli e rimetterlo in condizioni di “girare”: nel protocollo dei passaporti dell’anno 1855, dovrebbe però essere visibile dalla relativa autorità di Chiavari. La polizia conclude la deposizione e legge il verbale a Giuseppe Gandolfo, il quale, dopo lettura, aggiunge ...solamente supplico caldamente, (), di rilasciarmi al più presto possibile il nuovo passaporto. Un musicista ambulante deve assolutamente poter esercitare, deve avere il contatto con la folla delle piazze e dei mercati, deve poter trovare attenzione dai passanti, solo così può raccogliere il suo reddito e la volontà di continuare è chiaramente dichiarata: In questo passaporto prego sia espresso la facoltà di viaggiare in Moldavia, Valachia, Turchia, Russia, e Germania. Il secco linguaggio burocratico si conclude con la chiusura del protocollo e la firma di Giusepe Gandolfo: dopodiché il deponente, essendo illetterato, confermò la sua deposizione col segno di croce...27 marzo 1865. 

Da Mezzanego all’oriente europeo con la richiesta di poter suonare per le strade dei Balcani, superare il Mediterraneo nello stretto del Bosforo ed entrare il Turchia, avere la possibilità d’operare sul territorio Russo e, se non bastasse,  anche in Germania. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Luigi Graffigna fu Agostino, era un musicista ambulante di Mezzanego, di lui troviamo tracce nella memoria orale e riscontri in documenti d’archivio. La sorella del Graffigna, Anna, era sposata con Giobatta Massa altro “musicante” con meta la Francia. Il giorno del battesimo di Ester, figlia di Anna Graffigna, il padre è assente, a fare da “padrino” la zio Luigi Graffigna; Giobatta Massa, come scritto sull’atto di battesimo: è in Francia. Nella raccolta di testimonianze orali, tra i più anziani di Mezzanego, troviamo informazioni su queste famiglie: “i Massi, andava in Fransa”; la famiglia dei Massa era di Case Notola nella frazione di Vignolo e condividevano con la famiglia Graffigna l’arte della questua. 

Nella ricerca d’archivio troviamo conferme alle testimonianze orali, documenti richiamano provvedimenti di polizia a carico del Luigi Graffigna, sempre con l’infrazione recidiva della questua (11). Nel dicembre del 1888 è ricoverato presso l’ospedale di Landsberg, in Baviera a sessanta chilometri da Monaco; qui è emesso un documento indirizzato al Sindaco di Mezzanego al quale si richiede il rimborso per le spese di degenza, per una malattia contratta durante il viaggio. La lettera scritta in tedesco è inviata alla Sotto Prefettura di Chiavari per la traduzione: la cifra richiesta è di un marco e 80 pfenning per ogni giorno di degenza; il Sindaco invia una dichiarazione di miserabilità per ottenere l’assistenza gratuita. 

Ancora da Mezzanego partiva Alberto “Bertulin” Cogozzo, sue le ghironde ritrovate durante le ricerche ed utilizzate per esibizioni nelle piazze, “Bertulin” emigra in America  cambiando del tutto attività. 

Domenico Spinetto, “Menegun”, si muoveva tra Mezzanego e la Germania, qui questuava con l’organetto disponendo di garzoni che operavano con suoi strumenti musicali. Anche in questo caso si sono riscontrate memorie di cronache dei viaggi, negli stati interni e in Europa. Questi ambulanti operavano con tartarughe o bisce catturate localmente; nelle piazze si esibivano ostentando gli animali e suonando i loro strumenti. 

(11) Archivio di Stato di Genova. Documenti della Regia Pretura di Borzonasca. Numero ordine 13 del 12 giugno 1891. Comune di Mezzanego. Archivio storico: Registro dei provvedimenti: 3 febbraio 1888. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Successivamente troviamo testimonianze di un’evoluzione: scimmie e orsi segneranno i loro spettacoli. 

Durante la ricerca nel territorio di Mezzanego, la lettura sistematica di documenti presso l’archivio comunale e la verifica sulla tradizione orale si è rilevata la conservazione di alcuni strumenti appartenuti ai musicisti ambulanti. Si tratta dei resti di due ghironde (viole) con diverse particolarità organologiche: la prima, con poche parti conservate, a forma di liuto; la seconda a cassa piatta. 
I reperti sono stati confrontati con le tavole di riferimento dei modelli tipologici illustrati da Palmer (12) e possono essere classificati come 12c, per la forma a cassa piatta, e 20, per la forma a liuto. 

La conservazione degli strumenti permette uno studio sistematico sulle loro caratteristiche, ma esclude in modo assoluto la possibilità di un restauro e un possibile riuso. 

La ghironda a forma di chitarra a cassa piatta ha restituito più informazioni grazie ad una maggior parte di componenti conservati: la cassa armonica misura cm. 57 di lunghezza, per uno spessore della cassa di cm. 10, la larghezza massima è di cm. 27. Le essenze utilizzate per la costruzione sono così individuate: pioppo per la parte inferiore della cassa di risonanza, le fasce superiori e la cordiera sono state costruite utilizzando del palissandro, il ponticello delle corde di canto in acero. 

(12) Susan e Samuel Palmer. The hurdy-gurdy. Ed. David & Charles. London 1980, Pag. 27/30.