"Lo sciamanismo siberiano e la malattia divina" 
tra i Nency della Penisola di Jamal 

di Luciana Vagge Saccorotti 
 
(ridotto e modificato da un più ampio articolo pubblicato sulle riviste “Il Polo” e “Slavia”) 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

« Dapprincipio mi hanno tagliato la testa e l’hanno messa su un ripiano della jurta,   
poi hanno separato le varie ossa del corpo.   
Tutta la carne staccata dall’osso fu infilzata in nove spiedi.   
Dopo di che si riunirono e mangiarono.  
In seguito, venne fuori il demonietto delle malattie.   
Egli raccolse tutte le mie ossa e le stese su una corteccia fresca di betulla.   
Dopo di che mi rimisero in piedi. »  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Introduzione 
 

Con questo racconto della sciamana Kjuegejer Moturuona, sulla sua iniziazione da parte degli spiriti, entriamo in punta di piedi, con curiosità ed estremo riserbo nel segreto universo degli sciamani siberiani, nei miti sulla loro nascita, nella “malattia divina” curata attraverso l’iniziazione che evoca il dramma archetipo di morte e rinascita. 

Si tratta di una psicopatologia definita, nel secolo XIX, “isteria artica”, perché caratterizzata da fenomeni di isterismo diffusi nelle zone artiche e attribuiti ora a caratteristiche razziali, ora a condizioni estreme di vita. 

Secondo queste teorie, lo sciamanismo sarebbe stato in origine un fenomeno essenzialmente artico dovuto all’influenza dell’ambiente su una presunta labilità nervosa degli abitanti. 

La scienza moderna ha provato, però, che fenomeni psicopatologici analoghi si trovano un po’ ovunque sulla Terra, e che gli sciamani sono individui dalla forte costituzione nervosa, che reggono sforzi inauditi, che hanno doti intellettuali superiori alla media e che sanno padroneggiare le loro fatiche estatiche provocate volontariamente. 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

La "malattia divina" 
 

La “malattia divina” si manifesta già nel ragazzo destinato a diventare sciamano con mali cronici curati a lungo senza successo, deperimento psicofisico progressivo, alternanza di stati alterati di coscienza e incoscienza, tremiti e convulsioni. 

Col crescere, il ragazzo evidenzia sempre più nel carattere tratti inconsueti e capacità diverse, quando non superiori, rispetto agli altri membri del clan, soprattutto verso la maturità sessuale. Dorme a volte giornate e notti intere, cammina senza notare quelli che incontra o vede cose che gli altri non riescono a vedere, soffre di tutti i possibili mali. 

Sono gli spiriti ausiliari di qualche antico sciamano a tormentarlo perché si decida a entrare nella loro grande famiglia. Essi lo seguono ovunque, gli appaiono sia in sogno, sia nella realtà. Lo tormentano e lo spaventano in vari modi finché egli non si rende conto che non esistono vie di fuga, che l’unico modo per evitare le sofferenze è accettare la vocazione. 

Nell’iniziazione l’aspirante sciamano subisce, in stato di extracorporeità sul proprio corpo astrale, una lunga serie di torture che egli vive e sente come eseguite sul proprio corpo di carne e ossa. Lentamente viene scuoiato e smembrato da entità che fungono da sacrificatori, fino a portare a nudo le sue ossa che vengono poi ripulite e ricomposte. Alla fine del rito sullo scheletro riapparirà nuova carne e nuova pelle. Quanto detto lo si riscontra in varie tradizioni sparse in tutto il pianeta da quelle asiatiche siberiane, alle africane, agli indiani d’America. 

Dopo l’iniziazione in stato di extracorporeità, seguirà un lungo periodo di addestramento da parte di uno sciamano anziano, Il quale istruirà il novizio sui miti cosmogonici, sulla sfera di attività degli spiriti, sui sistemi di guarigione e divinazione. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Le funzioni dello sciamano 
 

Lo sciamanismo è un fenomeno religioso, oltre che siberiano e centro-asiatico, presente anche fra gli aborigeni australiani, nell’America settentrionale e meridionale, nell’Asia sud-orientale, in Indonesia, in Cina, nel Tibet, in Nepal, in Giappone. 

Pur caratterizzando la vita religiosa dell’Asia centrale e settentrionale, lo sciamanismo non è la religione dei popoli che abitano quell’immensa regione. 

Non sono stati gli sciamani a creare le concezioni cosmogoniche e i miti che condizionano la vita e l’assetto sociale di quelle popolazioni. 

Lo sciamano è un essere “privilegiato” che ha accesso alle zone del sacro, interdette agli altri membri della comunità, e che attraverso il rituale sciamanico, assolve le seguenti funzioni: 

    medicine man 
    psicopompo 
    divinatore 
    sacerdote del culto
Le principali vie di reclutamento degli sciamani siberiani sono la trasmissione ereditaria e la vocazione.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

L'origine del nome 
 
 

Il termine “sciamano” deriva dalla trascrizione russa šaman del tunguso samen, e sembra risalire al sanscrito sramana (asceta buddista), sramanera (monaco). 

E’ menzionato per la prima volta da un ambasciatore del granduca di Mosca, Evert Yssbrant Ides, e dal suo compagno Adam Brand, i quali si recarono in Cina nel 1692 e pubblicarono entrambi un resoconto del loro viaggio, descrivendo, tra l’altro, gli incontri con i “favolosi sciamani tungusi”, usando appunto quel nome fino allora sconosciuto. 

Per designare lo sciamano, ogni popolo usa il proprio termine locale. 

In Siberia abbiamo, per esempio: tetypy tra i sel’kupy, nga tra gli nganasany, sening tra i kety e šaman tra gli evenki, di etnia appunto tungusa. 

Nella Repubblica Sacha (Jakuzia) lo sciamano è ojun, mentre i buriati lo chiamano udayan.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

L'esperienza in Siberia 
 

Non stento a credere che lo sciamanismo sia per eccellenza, un fenomeno religioso siberiano e centro-asiatico. 

La breve esperienza da me vissuta nella penisola di Jamal, in un clan dei nency allevatori di renne, mi è stata di grande aiuto per meglio comprendere la necessità della nascita del primo sciamano e la sua presunta discendenza divina. 

La bellezza di quell’algido lembo di terra, proteso verso il pack del Polo Nord dalle foci del fiume Ob’, mi stordiva. 

Ma sentivo anche che la crudezza del gelo e del vento che ti penetra nelle ossa e impietrisce la neve, la mancanza di legna per scaldarti, la lotta contro i lupi e i ghiottoni che sgozzano le tue renne, potevano sottrarti la forza di combattere. 

Ecco allora la necessità dello sciamano, individuo straordinario che resiste a sforzi inauditi e che credi ti possa aiutare quando pensi che ormai sia giunta l’ora di cedere. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

L'esperienza in Siberia 
 

In Siberia, le leggende sulla nascita del primo sciamano, le respiri insieme all’aria tanto sono numerose. 

Un tempo esistevano tre soli e tre lune, ne recita una dei nanaicy, “uomini di questa terra” che vivono nelle valli del Basso Amur. Gli uomini di giorno rischiavano di morire, accecati dalla troppa luce e soffocati dal troppo calore. 

Di notte, il gelido biancore delle tre lune si divertiva a tormentare le palpebre della gente, impedendo loro di dormire. Allora, per salvare l’umanità, un eroe abbatté con il suo arco le due lune e i due soli superflui. E quell’eroe divenne il primo sciamano. 

Nel clan Vanujto, allevatori di renne con i quali ho vissuto e transumato per qualche tempo nel 2005, tra i tanti giovani c’erano due persone anziane, un uomo e una donna. Di loro non ho mai saputo il nome. 

Quella del nome tra i nency è una lunga storia da raccontare. Dirò qui soltanto che i loro molteplici nomi corrispondono ai diversi ruoli famigliari e sociali. 

Diventato nonno, il nenec perde il nome precedente, che lo designava “padre o madre di…”, e si ritrova con qualche soprannome strano, per esempio Jamb-inja, «lunga corda».

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

L'esperienza in Siberia 
 

La mia permanenza tra loro è stata forse troppo breve perché potessero notare le mie braccia aperte, pronte ad accogliere con rispetto tutti gli aspetti della loro ricca tradizione. Probabilmente pensavano che io potessi ridere di nomi tanto strambi. 

Ma la «nonna» senza nome mi parlava a volte, prima di addormentarsi al calore dello spirito del fuoco che ancora danzava al centro del cum, la grande tenda conica dei nency. 

Cercava di parlarmi in russo, naturalmente, e non nella sua lingua che non conosco e che appartiene alla grande famiglia Uralica. 

Ma spesso non capivo a cosa corrispondessero frasi biascicate e infarcite di termini delle parlate della tundra di Jamal e della Bol’šezemel’skaja tundra, la pianura collinosa di morena a ovest degli Urali.  

Sono riuscita a fermare sul mio quaderno di appunti il girotondo confuso di segni, un po' cirillici, un po' latini, e li ho riordinati in pensieri che ho poi confrontati con quelli della scrittrice nenka, Ljudmila Vasil’evna Chomic . 

Cercherò di raccontare qualcosa, senza la pretesa di poter trasmettere la sensazione di “ritorno a casa” che, durante il mio vivere su quella terra, il cui orizzonte si scioglieva confondendosi nel cielo, ha fatto della mia aura il proprio regno.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Lo sciamano per i "nency" 
 
Per i nostri nency lo sciamano è tadebja. Alla radice di questo termine sembra ci sia la parola tada che significa “uscire da se stessi”. 

Ci si riferisce, evidentemente, allo stato di trance in cui si trova lo sciamano durante la seduta. E, a questo proposito, è interessante la definizione che dell’estasi dà lo studioso russo Širokogorov: uno stato di cosciente non padronanza di se stessi. 

Tra i nency la via ereditaria era patrilineare. La donna poteva diventare sciamano solo quando l’antenato non aveva eredi maschi. Ma l’ereditarietà non era sufficiente. Tadebja poteva diventare solo colui che era stato scelto dagli spiriti ausiliari dello sciamano antenato del ragazzo, i tadebce 
Lo sciamanismo tra i nency non si è conservato, almeno nelle forme in cui esisteva anticamente. 

In certe regioni vivono sicuramente persone che si ritengono sciamani. Ma la loro funzione è rimasta, nella maggior parte dei casi, quella di sacerdoti del culto. 

Anticamente, erano i tadebja che spiegavano alla gente il significato dell’anima, della vita e della morte e che conoscevano meglio di tutti le tradizioni degli antenati e il loro ricco retaggio mitologico. Anche la conoscenza della natura era una loro prerogativa. Durante la loro preparazione, che avveniva con un tadebja anziano, si isolavano e praticavano l’autopsia a vari animali e studiavano la migrazione degli uccelli. Ed erano necessari vent’anni di esperienza per diventare un autentico sciamano.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Lo sciamano per i "nency" 
 

I nency ritengono che lo sciamano sia destinato a diventare tale già dal momento della sua nascita. 

Di solito, sulla sommità anteriore del capo (sincipite) il neonato “prescelto” ha una piccola membrana di pelle che, secondo la tradizione, è il simbolo della pelle del tamburo. 

La madre del bambino la stacca con grande cura e l’appende a due bastoncini incrociati e piantati nella neve o nel terreno se il piccolo nasce durante la brevissima estate. 

Sulla tecnica arcaica usata dagli sciamani per arrivare all’estasi sono stati scritti fiumi di parole. 

Fino a qualche decennio fa, il termine “sciamano” era quasi sconosciuto ai più, e ancora oggi è spesso inteso semplicemente come qualcosa di simile allo stregone. 

Ma ciò che contraddistingue lo sciamano (che può essere anche donna) dagli altri guaritori, maghi, sacerdoti e mistici sono le sue esclusive esperienze estatiche legate appunto a una tecnica arcaica propria soltanto a lui e durante la quale si pensa che la sua anima possa abbandonare il corpo per salire alle sfere celesti o per discendere agli inferi per tentare di riprendersi l’anima del malato che gli spiriti vogliono portarsi via, o per cercare di sapere dove ritrovare la mandria di renne fuggita al pastore, o per accompagnare le anime dei defunti che non vogliono andare nell’aldilà

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Lo sciamano per i "nency" 
 

Lo sciamano è anche lui un mago e un medicine-man, ma non ogni mago può essere qualificato come sciamano. 

Magia e maghi li si incontrano un po’ dappertutto nel mondo, mentre lo sciamanismo corrisponde a una specialità magica particolare che implica il volo estatico e l’incontro con gli spiriti. 

Anche il rapporto dello sciamano con gli spiriti è particolare. Egli non è un ossesso. Egli li domina, i suoi spiriti, riesce a comunicare con i morti, con i demoni, con gli spiriti della natura senza per questo trasformarsi in un loro strumento. 

Anticamente, gli sciamani erano chiamati dai nency semplicemente tadebja. Più tardi, in seguito allo sviluppo e alla diffusione della loro attività, si suddivisero in varie categorie, con soprannomi, funzioni e attributi diversi. 

La divisione dei tadebja tra “bianchi” (puri) e “neri” (impuri) non significava che gli uni desideravano il bene e gli altri, il male delle persone. 

Forse il compito del tadebja nero era più difficile perché si doveva rivolgere agli spiriti maligni per difendere la sua gente. 

Molti sciamani in passato si trasformarono in capi rivolta, e subirono feroci persecuzioni durante il potere sovietico, ma anche durante il regime zarista.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Lo sciamano per i "nency" 
 

I vydumana, per esempio, appartenevano alla categoria dei puri. 

Guarivano o cercavano di guarire gli ammalati andando a “recuperare” la loro anima portata via dagli spiriti. Predicevano il futuro osservando la lama del coltello. Essi erano famosi per i “miracoli” che riuscivano a compiere. Si trafiggevano, per esempio, con un coltello o con il chorej – la lunga asta appuntita per incitare le renne. 

« Devi sapere » mi dice la nonna, « che era uno di noi a estrarre il  chorej dal suo corpo. Se era facile, era un buon segno, altrimenti…forse il tadebja poteva morire. » 

Gli sciamani ja’njany appartenevano, invece, alla categoria dei cosiddetti “impuri” perché avevano a che fare con gli spiriti del mondo inferiore. Essi tentavano di guarire i malati non gravi e le loro sedute avvenivano di notte. 

Quando la persona muore accidentalmente, mi dice la nonna, si chiama l’iltana, l’uomo che riesce a parlare con i defunti, i quali raccontano i motivi della propria morte. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

L'attributo principe dello sciamano: "il tamburo" 
 

L’attributo sciamanico per eccellenza è il tamburo. 

Tra lo sciamano e il tamburo c’è un rapporto personale molto forte, perché è con l’aiuto di questo strumento che egli chiama gli spiriti i quali, entrando nel tamburo, lo aiuteranno a intraprendere il viaggio estatico. 

I nency lo chiamano penzer. Tra tutti i tamburi siberiani, quello dei nency è uno dei più semplici. Sul penzer non esiste l’iconografia dominata dal simbolismo del viaggio estatico che ritroviamo nella maggioranza dei tamburi siberiani. Il penzer è in larice siberiano (larix siberica). Di forma rotonda, misura circa 45 cm. di diametro e 22 di profondità. Una base è rivestita di pelle, l’altra è aperta e munita di due bastoncini incrociati che fungono da impugnatura. Per il rivestimento del penzer viene usata la pelle di una renna appena macellata. Con l’aiuto di un coltello spuntato, la pelle viene pulita dai peli e stesa sullo strumento ancora morbida e umida. Anche il mazzuolo è rivestito di pelle di renna con corti peli. 

Esistono, comunque, altre descrizioni, come quelle della nostra “nonna” che afferma che il penzer è ovale. 

Altre che vogliono che la pelle del tamburo sia di una renna selvatica e in nessun caso di una renna castrata. Altre ancora, collegano i due bastoncini incrociati con una catenella sulla quale è fissato un campanello. Ma, ripeto, quello che distingue il penzer dalla maggioranza degli altri tamburi siberiani è la sua estrema semplicità. 

Racconta la leggenda che il tamburo siberiano fosse composto anticamente da due facce di pelle. Esse furono poi ridotte a una dal dio supremo, per diminuire il potere del primo sciamano che era ritenuto troppo presuntuoso. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Altro attributo dello sciamano: "il costume" 
 

Altro attributo molto importante è il costume, completo di copricapo, calzature, bastoni. 

Indossato, permette di trascendere la realtà e di stare a contatto con il mondo degli spiriti. 

Ne esistono di varie fogge, più o meno ornati e bizzarri, in gran parte tendenti a fornire un corpo magico in forma di animale, principalmente renna, orso o uccello. 

Gli sciamani indossavano anche maschere ricavate spesso da un pezzo di stoffa nera, o rossa se lo sciamano era una donna, sul quale erano ricamati occhi, naso e bocca. Ma avevano anche maschere di pelle di renna ricche di ciondoli di rame. 

Poco si sa di un altro importante strumento del tadebja: il bastone sul quale egli si appoggia quando accompagna il defunto nell’aldilà, attraverso una strada accidentata. Ne esistono alcuni nel Museo di Antropologia ed Etnologia di Mosca. Uno è stato trovato sotto un larice sul quale era appeso un tamburo, ormai quasi distrutto, di uno sciamano defunto. Si tratta di un bastone con sette tacche, sulla parte alta del quale è raffigurato un volto. 

Oltre al tamburo, al mazzuolo e al bastone, il tadebja conservava le immagini dei suoi spiriti adiutori nella tenda o nella slitta sacra durante i trasferimenti. 

Dopo la morte del tadebja, tutto ciò che gli era servito per la kamlanie (la seduta sciamanica, dal turco kam, “sciamano), nonché altri oggetti del culto, veniva conservato nella stessa slitta sacra o consegnato a un suo erede sciamano.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Una seduta sciamanica 
 

Nei sjudbabc e negli jarabc, i canti epici dei nency, c’è un personaggio fantastico, la “Canzone” che tutto osserva e tutto ascolta per riportarlo alle future generazioni. 

Possiamo unirci a lei per osservare dall’alto della tenda la seduta di uno sciamano. 

Rivolti verso l’entrata, si può osservare a sinistra la zona maschile e a destra quella femminile. Quasi appoggiati alla parete di fondo, uno a destra e uno a sinistra, gli idoli degli spiriti ausiliari e davanti a loro, al centro, gli idoli degli spiriti buoni. A destra, in alto, la rappresentazione di uno spirito maligno, una donna, una specie di strega. 

Accanto a lei, ma verso il centro, sta seduto su una pelle lo sciamano. Dall’altra parte della tenda, lo spirito della malattia. Davanti allo sciamano, due a destra e due a sinistra, quattro suoi aiutanti, uno dei quali regge un sonaglio. Il tamburo e il mazzuolo sono sistemati su due assicelle collegate a due pali di sostegno della tenda. All’ingresso, dell’acqua e un asciugamano. La slitta sacra sta all’esterno, appoggiata verticalmente sul fondo della tenda. 

Lo spirito del focolare, nume tutelare della famiglia, danza al centro della tenda. Dietro di lui, verso la parte posteriore della tenda, è stesa una pelle di renna bianca. Il fuoco è nutrito con erbe aromatiche. Nella bacinella accanto all’entrata c’è del pelo di renna bruciacchiato che sta fumigando insieme a piume di uccello. 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Una seduta sciamanica 
 

Entrano diversi nency. Tutti si purificano con il fumo. Lo sciamano indossa il costume intero. 

Afferra il tamburo e lo scalda vicino al fuoco per ottenere un suono più profondo. 

Tiene il tamburo con la mano sinistra, con la destra prende il mazzuolo e comincia a percuotere lentamente e dolcemente. 

Ora le percussioni sono più frequenti, poi quasi si tacciono e lo sciamano comincia a fare domande intercalandole con un monotono richiamo: hoj, hoj, hoj! Il rullo del penzer ricomincia, diventa sempre più forte, il terribile rumore incalza. 

Il tempo scorre. L’anima dello sciamano ora viaggia nel mondo degli spiriti. Egli descrive il suo viaggio con il canto. La musica scandisce la recitazione. 

Suoni di ciondoli metallici e campanelli rintronano nella testa dei presenti, insieme alle parole, spesso incomprensibili, dello sciamano. 

Ecco che il corpo del tadebja, privato dell’anima che sta viaggiando, inizia a danzare e a saltare freneticamente. 

Dopo ore, cade pesantemente a terra, striscia come un serpente, segnando il terreno con una larga scia di bava bianca…… 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Uno sciamano 

 
                                               credit: Mihàly Hoppal  Schamanen und Schamanismus, Augsburg 1994